Tanti, tantissimi mesi sono passati non soltanto dall’ultimo articolo pubblicato, ma anche dall’ultima bozza lasciata a marcire senza vedere mai la luce (non è escluso che le “riesumi”). Tutto inghiottito dal buio in cui mi son lasciata avvolgere, dallo svilimento che ho permesso prendesse piede.
Oggi è il primo gennaio e si sa, è tempo di buoni propositi, rinvigorimento dei ritmi, rinnovo di piani ed obiettivi che ci trasciniamo di capodanno in capodanno senza mai completarli veramente, diluendo nei giorni e nei mesi gli slanci positivi.
Io non ho ancora preso decisioni strutturate in merito, ma mi è venuto in mente il povero blog abbandonato a sè stesso nella websfera e senza progetto alcuno ho deciso di rimetterci mano e riprovare ad impegnarmi per l’ennesima volta, in modalità assolutamente random.
Questa volta è una questione di autostima e ricostruzione di me: esercitare la scrittura e far di nuovo credere a me stessa che, porca miseria!, so scrivere eccome e che non lascerò che qualcun altro possa dirmi che non lo so fare “o forse mi son comprata la laurea”.
L’idea è scrivere almeno un post al giorno. Un simile mastodontico obiettivo implica creare una periodicità di contenuti, magari riducendo le lunghezze, il mio punto debole, e potrei abbozzare una creazione di rubriche, da stabilire col tempo.
Per ora il primo post è scritto e concludo con una citazione di Gramsci (from Huffington Post Italia), appena scoperta, azzeccata e pertinente.
E per ora buon anno a chi mi leggerà 😉
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Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.
Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.
Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna.
E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.
Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore.
Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.
Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.
Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, Avanti!, edizione torinese, rubrica Sotto la Mole.